OPERE D’ARTE E MONUMENTI
Chiesa delle Anime Sante (inizialmente della Madonna del Buon Pensiero)
L'art.24 dell'atto notarile stipulato a Polizzi tra il Conte Giuseppe Cutelli e i primi coloni del costruendo villaggio, Castel Normanno, imponeva al primo l'obbligo della costruzione d'una chiesa cattolica capace di assicurare ai villigiani la pratica la pratica del culto, e ciò a suo totale carico.
Il predetto articolo trovava la sua giustificazione nel fatto che la Cappella costruita dal barone don Antonio Cicala, fondatore non ufficiale del villaggio, col passare degli anni si rivelava troppo angusta alla bisogna. Il nipote, che era un uomo profondamente religioso, tenne fede all’impegno assunto, e con sincero entusiasmo prese a realizzare l’edificio sacro su un semplice ma grazioso progetto. Il profilo originale di esso si può ammirare ancora tracciato sull’esistente facciata che, un secolo fa, per aver dato spazio allo stradale provinciale, dovette essere restaurata e forse modificata parzialmente per soddisfare le esigenze delle collegine. La campana maggiore della cappella del Cicala, oggi oratorio del Rosario, fu posta sul campanile della chiesa majoris Sanctae Mariae Boni Pinsieri alla quale fu dedicata per gratitudine e ringraziamento dal fondatore. Sull’orlo della suddetta campana, come abbiamo già detto, sta scritto: «D. Antonino Cicala. Barone di Valle dell’Ulmo 1645». L’opera portata a termine nel 1654, venne benedetta e inaugurata dal Vescovo di Cefalù.
La chiesa attaccata al lato sud dell’antica fattoria feudale, ad una sola navata, in stile composito, corinzio-romano, con realistica rispondenza, fu dedicata alla Madonna del Buon Pensiero la cui statuetta, dopo essere stata venerata per oltre un secolo sull’altare maggiore, fu trasferita nella relativa sacrestia e debitamente custodita dalle suore sino ai giorni nostri. Autore di tale trasferimento fu l’arciprete del luogo mons. Randazzo che, incurante delle tradizioni patrie, mutò il nome della chiesa in quello delle Anime Sante e dedicò l’altare maggiore alla Madonna del Rosario. La nuova chiesa, come dovunque si costumava, venne adibita anche a luogo di sepoltura dei defunti fino a quando non venne costruita l’attuale Chiesa Madre. In essa, oltre ai quattro altari laterali, uno dei quali destinato al Crocifisso, furono eretti i mausolei alla duchessa di Catalogna Anna Summaniata, prima moglie del conte Giuseppe, e del conte Antonio Cutelli, «morto ammazzato» il 5 agosto del 1711.
La costruzione dello stradale provinciale del 1892, che attraversa il centro abitato, privò la chiesa della gradinata che le conferiva una certa imponenza, e per agevolarne l’accesso due o tre gradini furono praticati nel suo interno.
Chiesa Madre dedicata all’Immacolata Concezione della B.V.M. in stile romanico-barocco leggero ad unica navata sec.XVII, costruita per intervento della Contessa Cristina Cutelli. Di notevole pregio artistico è la statua lignea e aurea dell’Immacolata, prima venerata nella Chiesa della Madonna del Buon Pensiero (l’attuale Chiesa delle Anime Sante)
Il numero sempre crescente degli abitanti, che nella seconda metà del Settecento raggiunse circa 2.000 anime, rendeva ormai inadeguata alle pratiche del culto la chiesa delle Anime Sante. Il bisogno d’una chiesa più ampia e più maestosa era avvertito e dal clero e dal popolo tutto. Se ne parlava in pubblico e in privato, ognuno se ne faceva ingegnere e architetto, e tutti si dichiaravano pronti a dare il proprio contributo in denaro o in giornate lavorative per la realizzazione d’un «progetto superlativo». Colse la palla al balzo la dinamica contessa del tempo, la signora Cristina Cutelli che a capo d’un comitato d’onore versò una grossa somma di once ed altre ne raccolse da tutte le famiglie anche meno abbienti. Ottenuta l’autorizzazione delle autorità civili ed ecclesiastiche, nel 1743 diede il via ai lavori di costruzione d’una chiesa più grande e più maestosa dell’unica esistente (quella delle Anime Sante), su un progetto ambizioso dell’ing. palermitano Giuseppe Caldara. Scrisse in merito il P. Dispenza «Si gettarono le basi d’un magnifico tempio a tre navate, decorato d’un grandioso atrio e frontespizio, ricco d’intagli con due sacrestie fiancheggianti i due lati dell’abside, con due campanili elevati ai fianchi del prospetto e con due vaste camere laterali alla chiesa». Ma poi, per deficienza di mezzi, il progetto fu ridotto e venne costruito l’edificio sacro ad una sola navata, un solo campanile con l’oratorio per i confrati del SS.mo Sacramento ed una sacrestia affiancata al lato destro della chiesa. Essa richiese dodici anni di lavoro, giacchè fu completata nel 1755; venne dedicata all’Immacolata e benedetta dal vescovo di Cefalù mons. Gioacchino Castelli tra l’esultanza incontenibile dei fedeli. Oltre all’altare maggiore, su cui domina il quadro della Vergine, ornato da simboli eucaristici in bassorilievo, e un pò più giù la statua di legno del Santo di Padova, protettore del paese, vi sono sistemati gli altari laterali della Madonna di Fatima, del Crocifisso, della Madonna del Rosario, di San Francesco di Paola, di San Gaetano da Thiene e di S. Lucia, vergine e martire siracusana. Nello stesso anno della sua benedizione (1755), le prerogative di chiesa madre godute sino allora da quella della Madonna del B. Pensiero passarono a questa nuova maggiore chiesa, che nel 1757 venne elevata a parrocchia. L’onore di reggerla per il primo toccò al sac. don Giuseppe Sciarrino che esercitò l’ufficio di parroco con senno e dottrina sino al 1775. La maggiore tra le quattro campane fu dedicata al Santo di Padova, e alle sue forti vibrazioni viene attribuita la virtù di allontanare i nembi e le tempeste. La mole notevole dell’edificio è resa imponente da una lunga scalinata semiesagonale di selce. Nel 1900 l’interno della chiesa fu restaurato e ornato di artistici stucchi, e nel 1911 vennero rinnovati la scalinata e il massiccio portone centrale. Ai lati del presbiterio si possono osservare con personaggi a grandezza naturale due grandi quadri relativi a due portenti attribuiti al Santo di Padova: il miracolo della giumenta digiuna da tre giorni che, inginocchiata, adora l’Eucaristia e quello della bilocazione del Santo, presentatosi in tribunale per difendere il padre ingiustamente accusato d’omicidio. Entrambi sono firmati dal pittore Attanasio e sono di mediocre fattura.
L’abate Vito Amico scrisse che la chiesa fu dedicata al Santo di Padova per onorare il conte Antonio Cutelli.
Più informato pare il Dispenza il quale narra: «Dovendosi eleggere il Santo Patrono del paese, il popolo si divise in tre correnti: una optò per Sant’Antonio, un’altra per San Francesco di Paola, la terza per San Vincenzo Ferreri. A sorteggio pubblicamente effettuato, uscì per tre volte consecutive il nome di Sant’Antonio di Padova».
Chiesa di Maria SS. Della Purità o Chiesa Nuova, a tre navate anch’essa in stile romanico-baroccheggiante, costruita a partire dal 1845. In questa Chiesa si trova il grandioso e artistico Crocifisso della Scuola del Civiletti.
La Chiesa Nuova sorse nel centro del nuovo quartiere sviluppatosi ad ovest di quello antico, in strade scoscese ma parallele. I suoi abitanti, trovando scomodo raggiungere la Chiesa Madre, avanzarono la proposta di avere una chiesa più grande e più comoda. I Padri Redentoristi, recativisi in missione, l’avvalorarono efficacemente presso la Curia di Cefalù sostenendo ch’era giusto concedere ai 2.500 abitanti del nuovo quartiere l’onore d’una loro chiesa. Il vescovo del tempo fu lieto di venire incontro al desiderio dei fedeli, e senza indugi ottenne l’autorizzazione dal Governo borbonico di costruire la chiesa desiderata. Nel 1845 furono gettate le fondamenta: clero e popolo fecero a gara nel trasporto a spalla del primo materiale occorrente per un tempio a tre navate. Il barone Lucio Mastrogiovanni Tasca, quale antico proprietario del felicissimo feudo di Regaliali e fittuario dei tenimenti territoriali, volle concorrere con la concessione di un annuo perpetuo legato di cento onze (L. 1.275), Ma gli sforzi economici e morali dei fedeli, cedettero all’enormità della spesa non ben ponderata, e il tempio, dopo quasi otto lustri, agli occhi del Tirrito giunto sul posto per ricerche, si presentava ancora incompiuto. Oggi, col completamento dell’opera, il tempio è una splendida realtà grazie al vivo interessamento dei rettori succedutisi nella sua cura e ai sacrifici dei fedeli. Tra i rettori più attivi occupa il primo posto il sac. Tommaso Cappellino il quale raggiunse gli USA per raccogliere dollari tra gli emigrati valledolmesi al solo scopo di continuare i lavori di completamento dell’interno della Chiesa. Morì a cinquantadue anni proprio nel giorno della festa della Purità, titolare della chiesa alla quale aveva dedicato la sua esistenza. Il popolo gli tributò straordinarie onoranze funebri e il Comune all’unanimità gli dedicò una delle vie che portano a questa chiesa. La sua opera fu continuata dal rettore che gli succedette, dal sac. Vincenzo Barone che curò i restauri delle due cappelle maggiori e la pavimentazione della navata centrale in marmo e fornì di nuove campane il campanile e di alcuni arredi sacri la chiesa.
Nel 1937, dopo la elezione del Barone ad arciprete, vi s’insediò come rettore un giovane sacerdote di Cefalù, il P. Pasquale Sanfilippo, che con i sussidi della Regione Siciliana e con i contributi dei fedeli e della propria pur modesta tasca definì tutti i lavori occorrenti alla dignità del tempio sognato dai fedeli valledolmesi nel lontano 1845. Si devono alla sua solerzia la riparazione del tetto della chiesa, sfondato da una bomba lanciata da un aereo americano nel 1943, l’acquisto d’un nuovo armonium e di lampadari e inoltre la costruzione d’una sala cinematografica quale moderno sussidio all’educazione dei giovani.
Bevaio “Acqua della Signora Cristina”
Fu voluto dalla contessa Cristina Cutelli Joppolo, andata in sposa a Don Giovanni Joppolo, Barone di S. Filippo. Essa si era investita della baronia di Valle dell’Ulmo il 20 luglio 1712, dopo la morte della contessa madre, escludendo dall’eredità il figlio naturale di don Antonio Cutelli, l’avvocato Giovanni.
Stagnone
Al nobile Don Giovanni San Martino Ramondetta, Duca della Fabbrica unitosi in matrimonio con Girolama Ioppolo Cutelli (investita della baronia il 16 luglio 1748) si deve la costruzione, per quei tempi colossale, dell’ampio serbatoio idrico ancora oggi chiamato Stagnone. Nel cisternone furono captate le acque delle sorgenti a monte dell’abitato, esso accoglieva oltre 1364 metri cubi di acqua. E’ questa una costruzione in pietrame (di mt. 10,10 x 38,20, alta mt. 6,00 al colmo, muri perimetrali spessi mt. 1,60) con una serie di arcate centrali sostenute da 6 enormi pilastri, volte a crociera, anch’esse in pietrame, di notevole valore storico-architettonico.
Il Tirrito che un secolo dopo potè visitarlo, stupito, scrisse “Questa grande opera che dicesi avere costato 16.000 scudi (£.64.200), la quale per la forma della costruzione può rivaleggiare con le antiche fabbriche della dominazione romana , durò un secolo. Nel 1818 si sviluppò una frana che spaccò il suolo del cisternone e deviò le acque. Si spesero circa 4000 lire per ripararlo; ma dopo pochi anni ricomparve l’avvallamento provocato da una frana più profonda, che ne produsse il totale abbandono. Restano ancora i maestosi avanzi di sì grande opera…..”
Lo Stagnone, oggetto di recente restaurato per quanto riguarda la struttura interna in pietrame, nelle sua solenne mole, oggi assolve egregiamente il suo compito in funzioni quali recite, mostre, convegni, esposizioni etc... le quali, pur non pertinenti l’idea progettuale di partenza, lo hanno portato alla ribalta e all’attenzione di un pubblico sempre più meravigliato ed ammmaliato dalla bellezza rustica del manufatto.
Baglio Castellana – Palazzo feudale sede del Conte Cutelli e delle annesse dipendenze. Al centro dell’attuale nucleo abitativo ha una pianta quadrangolare con corte interna. Il complesso edilizio comprende il Collegio di Maria con chiostro colonnato interno e la Chiesa delle Anime Sante.
Il palazzo o castello fu elevato sino al secondo piano e si estendeva verso oriente per una lunghezza di circa 150 metri. Nel mezzo del secondo piano si spiegava un grazioso cortile con colonne reggenti degli archi ai piedi dei quali si stendevano piccole aiuole e nel centro, accanto a un albero, si elevava il collo d’un pozzo d’acqua perenne; una scaletta dal cortile portava all’appartamento della famiglia. A nord della imponente costruzione si estendevano i vani terrani adibiti a stalle, pagliaie, magazzini, cucine ed il bevaio; una serie rettangolare di vani cingeva l’ampio cortile chiamato oggi «Baglio di Castellana». Si accedeva al Palazzo e ai magazzini per mezzo d’un ampio e alto ingresso; nel mezzo del «Baglio» stava un gran pozzo che raccoglieva, e tuttora raccoglie, l’acqua sorgiva proveniente dalla pendice della catena montuosa sovrastante. Di fronte all’ingresso sorgeva la «ribatteria», una specie di spaccio aziendale. Il palazzo, la cui facciata è stata di recente restaurata mettendo in evidenza la struttura in pietrame, svetta con la sua enorme mole sull’adiacente Piazza Madrice svolgendo la funzione di richiamo per i visitatori.
Busto bronzeo del dr. Castrenza Gullo (1902)
Opera dello scultore palermitano Antonio Ugo, voluto dalla cittadinanza per onorare la memoria del benefattore. Collocato all’entrata del cimitero comunale su un piedistallo recante la seguente iscrizione: “Al Dott. Castrense Gullo la cittadinanza gli amici nel primo anniversario di sua morte posero XI.V.MDCCCIII”
Il busto è l’unica opera monumentale che i valledolmesi hanno eretto ad un loro concittadino. Esso rappresenta il sentimento di stima e di gratitudine che la cittadinanza ha voluto esprimere ad un uomo che morì dopo essersi ammalato di polmonite doppia per aver soccorso in una freddissima notte di inverno una partoriente alle prese con un difficile travaglio. Il medico si era sempre distinto per la disponibilità, la benevolenza e la generosità: non solo dispensava la sua opera di medico senza risparmiarsi, ma spesso con i più bisognosi esercitava gratuitamente elargendo, altresì, alle famiglie più indigenti le provvidenze economiche per l’acquisto delle medicine. Si ricorda, infine, che il funerale ha visto la commossa partecipazione per la prima volta anche delle donne del paese che fino ad allora ne erano rimaste escluse poiché per consuetudine la partecipazione ai funerali era riservata ai soli uomini.
Monumento bronzeo ai caduti della prima Guerra Mondiale in cui caddero combattendo ottanta giovani valledolmesi. Anch’esso opera dello scultore palermitano Antonio Ugo collocato nella piazza principale del paese, rappresenta un soldato nudo che leva in alto con la mano sinistra l’immagine della vittoria mentre nella destra tiene un bastone. Fu inaugurato nel dicembre 1926 alla presenza del Prefetto Cesare Mori.